deep ecology

Coronavirus: una riflessione ecologica

 

 

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Essere Qui, non Lì

Sono giorni che rifletto in silenzio.

In un silenzio profondo e pulsante attraversato da schizzi di fango e rituali per la Terra con la mia bambina. Toccare la terra, rivolgerli nutrimento e devozione, abbracciare quelle parti selvagge che vogliono solo appartenere a questo luogo. Qui. A questa Terra.

E’ sempre più difficile andare Lì. Meno spostamenti inutili. Meno aerei. Meno treni. Questo periodo è un invito costante a isolarsi. O forse a rimanere Qui. Ad entrare nel momento presente. Non c’è fuga ne distrazione possibile all’essere qui.

Nel mio Qui c’è l’essenziale, quella qualità delle cose che rimane quando il resto scompare. Il desiderio di traghettare la mia piccola Anaïs verso un mondo interconnesso, radicato nella gentilezza, nel rispetto e nella gratitudine verso la natura. E’ l’unica bussola di cui dispongo adesso, con la fiducia che dà un senso alle nostre giornate, un senso di casa e di sicurezza, quando tutto il resto vacilla.

Forse anche voi che state leggendo, state toccando il vostro “essenziale”. Sarete forse d’accordo che ancorare nell’essenziale necessita un profondo ascolto di ciò che conta.

 

Il Coronavirus e il suo invito alla responsabilità

Questo virus porta la corona. Spartiacque che traccia una linea temporale tra un “prima” e un “dopo”, ci porta a riflettere di continuo sul vivere e il morire, e su come affrontiamo questi temi esistenziali. Memento mori ma anche memento vivi. Oggi pensavo a lui come a un grande maestro del Risveglio, capace di disturbare il sonno collettivo con i suoi suoni di campane stridenti nelle nostre orecchie. Un simbionte ingombrante e indesiderato, ma pur sempre un grande insegnante e rivelatore.

Più avanza e più siamo chiamati alla responsabilità. Quella non è una storia facile per noi umani. Molti vogliono continuare a fregarsene di tutto e non vogliono crescere. Le precauzioni  imposte ci obbligano a considerare da vicino la nostra relazione con la responsabilità, individuale e collettiva, ma anche la nostra capacità a rispondere collettivamente a una minaccia. Come rispondiamo a questo input? Come rispondo io? Agisco e scelgo con responsabilità o rifiuto questa prova di crescita mettendo in atto un meccanismo di rimozione?

Questo virus sta qui ad indicare anche un’altra ombra collettiva, quella che ci porta a non vedere, a non voler vedere … alla cecità individuale e collettiva … a  sottovalutare i sintomi critici del nostro pianeta, al maltrattamento dell’ecosistema, alla prevaricazione umana sulle altre specie … ossia la nostra inconsapevolezza. L’ombra nasconde in sé il rifiuto del dovere della responsabilità che deriva della consapevolezza.

Mi chiedo allora, potrebbe questo virus partecipare a guarire questa inconsapevolezza?  A ridarci la vista?

Ci rendiamo conto di essere pericolosamente iperconnessi ma rimane una resistenza più grande, una cecità maggiore: non vogliamo vedere quanto siamo interconnessi e interdipendenti di tutte le altre forme di vita sulla terra. 

Comprendere cosa implica l’interconnessione e la coesistenza in un ecosistema ci richiederebbe di rispondere responsabilmente alle sfide della crisi ecologica globale ma invece cerchiamo di spostare il problema cercando soluzioni tecnologiche capaci di risolvere un problema che riguarda l’impatto del mindset dell’essere umano dell’era postindustriale.

Come se l’iperconnessione fosse diventata l’ombra dell’interconnessione negata. 

 

Nuove domande aperte

Rispetto al virus, c’è chi è spaventato a morte e chi dice di non fermarsi e di continuare a fare la vita di prima. Ma cosa ci importa davvero, ci lo siamo chiesti? Se l’istinto di “sopravvivenza” della nostra specie, di cui tanto si parla in questo momento, fosse così tanto radicato, non avrebbe dovuto farci prendere una nuova rotta da tempo? La crisi in cui ci troviamo adesso è sintomatica di una situazione globale precedente e non solo.

La gente sta a casa. Altri sono disagiati nei loro posti di lavoro. Si parla di “smart working”, si annullano raduni, non ci si abbraccia più, si tengono distanze di sicurezza, si controllano le notizie più del dovuto, si contano i morti. C’è chi si lamenta di aver i figli tra i piedi senza rendersi conto che è forse la loro opportunità più grande di costruire un legame di qualità nel tempo, di trasmetterli qualcosa di bello, di nutrirli con esperienze vere, non dettate dal consumo, ma collegate al Qui. Per i genitori, ciò che accade con questa routine deragliata, è una chiamata forte a condividere un senso di radici. A coltivare a casa un terreno fertile per la connessione, per le relazioni che contano. Ecco… connessione…. non vi ricorda “interconnessione”?

Siamo a un bivio. Riflettiamo insieme: cosa si sta dissolvendo davanti ai nostri occhi? Cosa sta venendo a galla? Quali nuove priorità stanno affiorando?

E se prendessimo l’invito all’isolamento come un’opportunità per riconnettersi con tutto ciò dal quale ci siamo disconnessi? Noi stessi, la natura, i nostri figli… Quale mondo potremmo costruire se utilizzassimo questo tempo per riparare e abbellire le relazioni che fondano la nostra vita? Quali potenzialità risiedono in questo ritiro forzato? Tuffiamoci dentro, lasciandosi guidare dal potere di resilienza della vita.

Ci siamo così tanto definiti collettivamente e individualmente tramite il Fare, il Produrre e il Muoversi che fa strano sentirsi bloccati da qualcosa di più grande. Cadiamo nelle braccia del nostro Essere quasi all’improvviso e un po’ ci spaventa, perché è stato a lungo denutrito.

E se questo momento avesse creato il terreno ideale per permetterci di Sentire e di rispettare il nostro sentire e quello degli altri? E se fosse un occasione unica per ri-sensibilizzarsi lì dove ci siamo anestesiati e uscire dalla trance?

Se ci fosse una via di bellezza da cercare in mezzo alle paure e al flusso ininterrotto delle informazioni, un cammino ancora non percorso da esplorare?

Tutto è percezione. Vedere l’epidemia del Coronavirus come una prova di crescita per gli esseri umani potrebbe farne un‘opportunità di mutazione societale e di rigenerazione profonda. Perché no?

Senza negare i morti. La paura. L’inquietudine. L’incertezza. Il collasso economico. La preoccupazione. Lo sforzo. Senza negare niente, ma lasciando tutti questi livelli di consapevolezza coesistere insieme e rispecchiarsi. Ma per Fare questo, serve Essere: costruire un santuario dentro di noi per sentire ed ascoltare la voce della saggezza e onorare l’ombra e la luce, con fiducia che tutto troverà senso.

 

Il bozzolo della trasformazione

Come madre di una bambina di 5 anni il mese prossimo, mi sento chiamata a avvicinarci alla natura. Desidero trasmetterle cose belle all’aria aperta, aiutarla a relazionarsi con il Vivente sotto tutte le sue forme in modo intimo e autentico, creare insieme ogni giorno un piccolo atto gratuito di bellezza. Non salverà il mondo, forse. Qualcuno penserà pure che è inutile. Una perdita di tempo. Per me, è tempo ben speso. E’ tempo sacro, medicina, resilienza in azione, dialogo con la Terra. Dà un senso di direzione e genera amore e inclusione. Per costruire una cultura del rispetto e della cooperazione, credo nel potere dei piccoli gesti semplici.

Quali sono i vostri piccoli gesti?

Qualche mesi avevo trovato inaspettatamente un bruco sul divano di casa. Questa sincronicità mi aveva già allora insegnato molto. Adesso alla luce degli eventi che viviamo, credo che questo messaggio di trasformazione ci invita a non temere la fase più ermetica del bozzolo. Non c’è la certezza di volare in alto come una bellissima farfalla, mai. Ma tra le tante possibilità, esiste anche questa. Possiamo scegliere di portare l’attenzione proprio su questo processo di sviluppo e vivere questo bozzolo collettivo forzato come una guarigione necessaria di quelle parti di noi che si sono disconnesse dalla Vita e dall’Essenziale.

Molti post parlano adesso del valore degli abbracci e dell’essere insieme. Perché quando ci viene tolta una connessione considerata scontata, ne riscopriamo il valore e il potere. La perdita avvalora ogni cosa rendendola più preziosa. Forse è questo crescere collettivamente. Attraversare la morte simbolica di ciò che è stato per lasciarsi trasformare e rivedere le nostre priorità… con l’opportunità di valorizzare ciò che conta davvero, quando usciremo dal bozzolo… ma questa volta non solo per noi, ma per tutti gli esseri viventi, come famiglia allargata della Terra.

Non possiamo abbracciare gli umani ma possiamo abbracciare gli alberi e recuperare questo senso di sacralità preservato in tutto ciò che vive. Questa possibilità si trova proprio qui, nascosto tra le pieghe di una routine che si disgrega, a pochi metri da noi. E forse è proprio ciò di cui i nostri figli hanno più bisogno.

 

E’ il momento giusto

E’ il momento giusto per cercare una nuova coerenza (mente-cuore-pianeta) e coltivare pratiche che ci fanno bene, senza nuocere a nessuno.

E indagare a fondo questo mistero: se siamo così preoccupati per la nostra sopravvivenza, perché non avere come priorità di cercare nuove vie per interagire con l’ecosistema invece di continuare a sprofondare nel baratro dell’indifferenza?

Se davvero temiamo la contaminazione e l’estinzione della specie umana per via del Coronavirus, perché non ci risvegliamo inorriditi di fronte alle pratiche disastrose che mettiamo in atto quotidianamente per mantenere uno stile di vita così disconnesso dal Vivente?

Se siamo così attaccati alla vita e alla sopravvivenza, perché non abbiamo ancora preso sul serio le informazioni sull’impatto umano sul pianeta? Perché continuare a resistere alla chiamata dell’interconnessione nelle nostre fortezze mentali rigide invece di rivedere il nostro mindset e il nostro stile di vita alla luce delle nuove priorità del sistema Terra?

Forse è il momento giusto. Se la globalizzazione non seduce più, possiamo tessere una altra narrazione insieme. Quando dico insieme, non parlo solo di noi umani, ma di tutti gli altri esseri viventi sul pianeta. Non è più tempo di oggettivare la natura, le altre specie, noi stessi e di comportarsi con incoscienza.

Dobbiamo crescere. Se vogliamo immaginare un futuro come specie, dovremmo crescere. Ogni processo di crescita è doloroso ma evolutivo. 

Questo momento ci sta dicendo che il tempo dell’inconsapevolezza è scaduto. Il nostro comfort non può costare la distruzione delle altre forme di vita. Almeno di orientarsi verso il suicidio collettivo. Ma allora un nuovo paradosso emerge. Perché essere così spaventati dal virus se vogliamo semplicemente continuare il nostro trantran verso l’auto-distruzione?

 

Una chiamata all’umiltà e alla riflessione

Questo momento ci chiama all’umiltà, alla riflessione, al ripensamento, alla revisione. Ad allargare i nostri parametri mentali. A considerare la Vita nella sua vastità.

Per processare tutto questo, che è tanta roba, meglio essere fermi, avvolti nel bozzolo di un tempo sospeso. La routine ha deragliato e ci rendiamo conto che ci mancano gli abbracci e che l’isolamento fa soffrire. Che non è naturale non potersi connettere come vorremmo. Praticamente, per un gioco di riflessi inversi, stiamo soffrendo della nostra stessa arroganza di essersi sentiti una specie “superiore” e “separata” dal resto del Vivente. Questa è stata la vera frattura e questa deve essere guarita. Non siamo sempre stati così, e c’è una saggezza ancestrale codificata in noi da ritrovare. Per me non è una casualità, ma piuttosto una campana di risveglio.

Dalla morte e dalle paure potrebbero nascere nuove gemme per una nuova cooperazione più estesa con tutto il sistema della Terra.

Se nel piano della specie umana c’è la voglia di andare avanti, ci dobbiamo dare una mossa. Questa mossa inizia da dentro, dal “fermo” e dall’ascolto, per poi propagarsi fuori e diventare azione che ha senso.

Prendere cura della ferita nascosta, prendere coscienza della nostra interdipendenza

Come quando esce il pus da una ferita nascosta. Ti accorgi che si è infettata e comprendi che ne devi prendere cura immediatamente. Inizi a relazionarti con quella ferita. Non sapevi che era così profonda. Al livello della specie umana questa ferita è questo sentimento di separazione dal resto. Il rifiuto arrogante di prendere atto della nostra interdipendenza per continuare a praticare una mortifera prevaricazione. 

E la guarigione, quindi?

Potrebbe iniziare dall’accogliere il cambiamento di stato di coscienza al quale siamo severamente invitati adesso. Non siamo soli. Oh no! Il virus ci parla di un pianeta simbiotico. Non possiamo continuare a ragionare come se fossimo isolati e soli al mondo su un pianeta da sfruttare. Non possiamo continuare con questo mindset violento e inconsapevole.

Quanto abbiamo contaminato il mondo con questo ragionamento? Quanto pericolosamente contagioso è stato questo mindset antropocentrico? Quanto abbiamo perso il senso di relazione con la natura di cui facciamo parte? Guariamo dentro di noi questo virus della prevaricazione.

Possiamo utilizzare questo bozzolo per rimettersi in discussione? E riunirci attorno a valori che affermano la vita?

 

Una gestazione collettiva

E se questo bozzolo collettivo fosse proprio un canale di parto? Questa gestazione richiede umiltà, introspezione, intelligenza e saggezza. Andate in natura, al parco, in foresta e toccate la terra, lasciate la sua forza vitale rinforzare il vostro sistema immunitario.

Ogni rimedio preventivo è fatto di piccoli gesti semplici, ma c’è un segreto di cinque lettere sullo sfondo. Ci vuole … amore. In ogni nostro piccolo gesto. In ogni nostra decisione.

Reinventiamo insieme uno stile di vita più sostenibile ed equilibrato, dove re-imparare la saggezza ancestrale di coesistere armoniosamente con le altre specie viventi. Prendiamo tutte le precauzioni necessarie, si, ma con res-ponsabilità e saggezza. Solo un’intelligenza infusa di amore diventa saggezza.

Per preservare la Vita, l’intelligenza collettiva deve farsi saggia e darsi come priorità, oltre la risoluzione dell’emergenza sanitaria,  il dovere di porre rimedio agli squilibri profondi che lei stessa ha creato.  

 

Il fascino della paura e l’istinto vitale

La paura e i scenari apocalittici affascinano, si, non solo per la seduzione del lato oscuro, ma perché quando abbiamo davvero paura, scatta l’istinto di sopravvivenza … è come trovarsi davanti al precipizio e sentire che non abbiamo più scelta, senno quella di saltare nel vuoto. In un solo istante, la paura elimina tutte le distrazioni che ci hanno finora trattenuto. Si crea uno spazio liminale fatto di vuoto e di potenzialità. Il pericolo ci ricorda l’importanza di ciò che avevamo sottovalutato. Urge un evoluzione e un cambiamento di coscienza per uscire dall’impasse.

E se riallacciarsi all’istinto vitale fosse l’unica via percorribile oggi per darci una scossa,  rivedere il nostro stile di vita e allontanarsi consapevolmente dei nostri comportamenti distruttivi e autodistruttivi?

 

Distanze di sicurezze e ritorno al cuore

Queste distanze di sicurezza ci fanno rimpiangere la naturalezza di un abbraccio e l’appartenenza a una folla. Ma anche qui, invertiamo la prospettiva, chiedendoci: da quando non mi sono davvero abbracciata, dato ascolto e chiesto in quale mondo vorrei vivere?

Abbracciati in tutta sicurezza e fai spazio a quei sentimenti esiliati. Reintegra ciò dal quale ti sei disconnesso. Ricomincia da qui. Dal tuo cuore. Dal tuo coraggio.

Prendiamoci questo tempo ( che di solito non c’è mai) in cui tutto sembra bloccato e pericoloso, per fermarsi dentro e riconsiderare i nostri valori individuali e le nostre pratiche collettive.

 

Auspicio

Con un auspicio. Che è anche una preghiera.

Che questo momento critico possa trasformarsi nella levatrice che aspettavamo per cambiare il mondo, partendo da noi stessi. 

Che ci aiuti a guarire la nostra inconsapevolezza e a partorire una specie umana più responsabile.

Possa questa incertezza risanare il cuore degli esseri umani, insegnarci l’interdipendenza e permetterci di tornare in azione con la giusta dedizione alla resilienza del nostro pianeta.

Possa essere un momento per riconnettersi con la Vita, con il Vivente e con la Terra attraverso il potere della bellezza. 

Grazie per aver dedicato questo tempo alla lettura.

Le foto allegate sono collegate al mio lavoro con EarthPainting e danno un idea della resilienza di cui parlo nell’articolo.

Marianne Cordier

6/3/2020

www.earth-painting.com

http://www.mariannecordier.com

Più foto su instagram

insta: mariannealexandrine

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